Un racconto di famiglia sulle Cinque Giornate
Quando si festeggiano importanti ricorrenze, il rischio è che, tra la pompa delle celebrazioni e le ricostruzioni degli storici, si perda la consapevolezza di quanto l’evento ricordato abbia influito nella vita delle persone comuni. Se l’evento poi non è sepolto sotto secoli di Storia, ma è relativamente recente, quelle persone normali possiamo identificarle come nostri ascendenti non troppo lontani.
Quest’anno il 17 marzo si celebra il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Ma a Milano, quando si parla di Risorgimento, le date più care sono quelle dal 18 al 22 marzo, le Cinque Giornate. Di quei giorni molte famiglie milanesi conservano qualche ricordo. Anche nella mia si è mantenuta la memoria di un evento pubblico/privato, sfrondato dei dettagli, forse alterato. Un evento che raccontato oggi ha qualche tratto comico, ma che, se fosse andato diversamente, avrebbe impedito la mia nascita.
Cominciamo dal nome di mio padre, Giovanni Anacleto Carlo Maria. Al netto dei nomi più comuni spicca Anacleto (per me bambino era solo il gufo de La Spada nella Roccia), ereditato da suo nonno. Il nonno di Anacleto, di nuovo Giovanni (la fantasia non doveva essere il pezzo forte dei miei avi), era proprietario di una grossa drogheria in corso San Gottardo, poco fuori dalle mura spagnole. Come normale nelle case padronali milanesi ottocentesche, al piano terra stava il negozio e i magazzini, al piano di sopra l’abitazione. Qui viveva Giovanni con moglie, dodici figli e la servitù.
Ai primi di marzo del 1848 Giovanni dovette partire per un lungo viaggio e affidò tutto al suo factotum (di cui, nei racconti di famiglia, si è perso il nome), nel quale riponeva assoluta fiducia.
Il 18 marzo, come noto dai libri di Storia, cominciarono i moti. A scatenare un evento enorme fu un caso molto piccolo. Gli Austriaci avevano imposto una nuova tassa sul tabacco (e non per tutelare la salute dei sudditi) e i milanesi, per reazione, avevano cominciato uno “sciopero del fumo” (anche questo è un ricorso storico che ritorna in altri Paesi, come ad esempio l’Iran). Il generale del contingente austriaco, Radetzky, aveva allora mandato i soldati a fumare provocatoriamente sigari per strada. Un popolano, sentitosi provocato da un militare che gli soffiava in faccia il fumo, aveva preso il sigaro e lo aveva gettato per terra. Al tentativo di arresto avevano reagito i presenti, mettendo in fuga anche i rinforzi che stavano accorrendo. A quel punto la rivolta aveva dilagato per le strade della città, anche in corso San Gottardo.
La drogheria di Giovanni, non ancora tornato, venne chiusa, porte e finestre sprangate e la famiglia al completo si barricò al piano di sopra. Il magazzino era pieno di generi alimentari e i fortunati abitanti della casa avrebbero potuto assistere alle Cinque Giornate da un rifugio sicuro. Ma gli eventi epocali spesso fanno dimenticare il buon senso ed eccitano lo spirito.
Così al passaggio di uno squadrone austriaco, proprio sotto le finestre della casa di Giovanni, il factotum sentì che al richiamo della Storia non poteva non rispondere. Pur essendo una persona normale e affatto coinvolta nella causa indipendentista, senza pensare alle conseguenze del suo gesto imbracciò lo schioppo e da una finestra sparò all’ufficiale che comandava il drappello. La reazione fu immediata. I soldati circondarono la casa, cominciarono a sparare e appiccarono fuoco all’edificio.
Fortunatamente la famiglia al completo riuscì a salvarsi scappando per i tetti, probabilmente avendo l’occasione di ammirare dall’alto la città in rivolta, e nessuno rimase ucciso. Giovanni però, tornato a Milano preoccupato per le notizie che gli giungevano sull’insurrezione, trovò la casa bruciata e nessuno che sapesse dargli notizie della famiglia. Il dolore fu tale che si temette per la sua vita. Alla fine si ricongiunse con la famiglia e riavviò l’attività commerciale, anche se non si riprese mai del tutto dal colpo subìto e morì piuttosto giovane.
In famiglia questo ricordo è sempre stato raccontato (in dialetto) con tono ironico, della serie “guarda te se il bis bis doveva fidarsi di un cripto-repubblicano insurrezionalista che ha mandato a ramengo il patrimonio di famiglia!”. Ma se soffiamo via la patina del tempo dalla storia, in quel racconto c’è un’umanità straordinaria: la preoccupazione di una famiglia numerosa e senza pater familias, l’eroismo di una persona assolutamente comune (ed in fondo è grazie alle migliaia di persone normali che a Milano usarono letti e divani per costruire le barricate che quel 22 marzo entrò nella Storia), l’angoscia e il dolore di un padre che torna nella sua città e trova la casa bruciata. Quante volte vediamo storie del genere in televisione, ambientate in nazioni diverse, e non ci ricordiamo del nostro passato?
T. C.