Per capirci meglio
Imparare dagli svizzeri? Certo, si può anche in materia di feste. La vicina confederazione è un paese diverso dal nostro e dalla maggior parte degli altri, in quanto formato da tre o quattro gruppi etnici ben distinti. Possiede ciò nonostante un robusto spirito nazionale sostenuto dalla fierezza per un’indipendenza statale che dura da otto secoli e per una prosperità che non ha quasi uguali nel mondo. Soffre anch’esso, come si conviene ad un paese molto progredito, di periodiche turbe psichiche, generalmente superate senza danni; succederà probabilmente anche con il dibattito attualmente in corso su una più o meno cervellotica crisi di identità.
Fino al 2007, comunque, la Svizzera aveva regolarmente celebrato il 1° agosto di ogni anno, sul grande prato del Ruetly presso il lago dei Quattro cantoni, la ricorrenza del patto (secondo qualcuno fantomatico) del 1291 tra Uri, Schwyz e Unterwald che generò la confederazione. Nel 2007, per la prima volta a memoria d’uomo, la solenne e pittoresca cerimonia rischiò di venire soppressa a causa del rifiuto del governo centrale di addossarsi la consueta sua parte delle relative spese, lievitate per esigenze di sicurezza a causa del ripetersi di rumorose contestazioni da parte di giovani neonazisti. Le reazioni furono vivaci, ma la minaccia venne sventata grazie alla risolutezza della presidentessa socialista della confederazione e soprattutto al gesto, patriottico quanto interessato, di due grandi industriali, che elargirono i fondi necessari a far quadrare i conti.
Non solo da noi la Svizzera viene spesso dipinta come una terra di gretti bottegai e cinici banchieri. Ma ecco che Emma Marcegaglia, duce della Confindustria e presumibilmente ignara del precedente elvetico, sfodera per prima la brillante idea di festeggiare sì, il 14 marzo, il 150° dell’unità d’Italia, però continuando a lavorare per non perdere un tot di Pil; cioè, in pratica di non festeggiarlo affatto. La proposta, come sappiamo, ha suscitato l’immancabile parapiglia, con un prevalere, si direbbe, di voci favorevoli su quelle contrarie, benché in Italia l’unità nazionale sembri alquanto in sofferenza diversamente dalla nostra vicina settentrionale.
Da noi, per la verità, il solo a dichiararsi apertamente contrario alla festa tout court è stato il presidente provinciale dell’Alto Adige Durnwalder, e lo si può anche capire. Meno si capisce, invece, il rimprovero rivoltogli da Giorgio Napolitano; come negare che quella terra sia stata annessa all’Italia prefascista obtorto collo e praticamente riannessa a quella postfascista contro la volontà dell’ancora grande maggioranza tedesca della sua popolazione? E’ vero che per tenere quieta quest’ultima Roma finanzia lautamente una provincia larghissimamente autonoma, ma la voglia di festeggiare una realtà subita non sembra poter essere compresa nel prezzo. Semmai, la sovvenzione ad una provincia tutt’altro che indigente andrebbe revocata o almeno ridotta, oggi che il problema del sacro confine è decisamente anacronistico.
Quanto all’improvvisa esplosione della voglia di lavorare sia pure festeggiando o fingendo di festeggiare, diciamo innanzitutto che vi sarebbero cento, mille altri modi di economizzare piuttosto che privare il paese di un’occasione unica e una tantum di riflettere anche criticamente sulla propria storia e quindi anche sul proprio futuro. Un nobile proposito, quello di rinunciare alla popolarità derivante dalla concessione di un giorno di vacanza in più in un anno che ne ha così pochi? Diciamo che aleggia più che altro un sospetto: quello che si miri a compiacere, sulla base di più o meno intuibili calcoli di politica politicante, le forze politiche del nord o del sud più ostili all’unificazione se non all’unità nazionale e potenzialmente secessioniste.
Tanto più se così fosse, non ci resterebbe che tifare senza risparmio per il prode ministro La Russa, unico membro del governo visibilmente espostosi, finora, in antitesi all’ineffabile collega Gelmini la quale, non contenta di sostenere che nelle scuole lasciate aperte il 14 marzo gli insegnanti potrebbero utilmente parlare della storica ricorrenza, ha poi aggiunto con clericale ipocrisia che così, almeno, la festa non festeggiata si distinguerebbe da altre festività qualsiasi. Dopodiché, intendiamoci, l’unità nazionale non va certo difesa soltanto festeggiandola.
Nemesio Morlacchi