Aspro editoriale di un Ceronetti eversore e profeta

“La Stampa”: L’Egitto insegni a due milioni tra noi sotto la guida di un Kemal Ataturk ad abbattere il nostro regime.

35 anni fa uno degli Internauti invocava contro i Proci della nostra politica, l’equivalente dell’ Immane Clistere di Ceronetti.

Pratichiamo il paternalismo ogni volta che i popoli sottomessi, p.es. gli islamici, si sollevano: ”Poverini, si erano assuefatti al servaggio, ora esplodono”. E noi italiani, ipoteticamente in gamba dalla nascita, facciamo di meglio dell’antica sottomissione islamica? Sono già passati 65 anni da quando i gerarchi fascisti furono soppiantati dai demofurfanti antifascisti, ma sottostiamo agli stessi Proci usurpatori e ladri. Si sono susseguite generazioni di gauchistes furenti, e i Proci sono sempre lì, a banchetto. Detenendo le chiavi del tesoro, attingono.

Abbiamo, noi sofisticati ed evoluti, la faccia di compiangere tunisini, egiziani eccetera perché si sono tenuti a lungo i satrapi che mandavano a Londra i miliardi rubati. Siamo stati meno pecore e conigli noi che, letto Croce e cantato Bella Ciao, ci siamo rassegnati al pensiero unico e all’Arco costituzionale forever?

Ecco perché oggi 6 febbraio 2010 è storico che “La Stampa” abbia fatto scrivere a un Ceronetti dichiaratamente “filosofo politico” un editoriale davvero al fosforo (nel senso letterale greco: fosforo=che porta la luce), anzi al trinitrotoluene. Titolo: ”La speranza che viene dall’Egitto”. Premesso che “non sappiamo fare altro che deplorare la violenza, ipocritamente“, Ceronetti va all’assalto: “Se c’è chi pensa che togliendo di mezzo Berlusconi si fa il bucato a una democrazia in condizioni di agonia, come questa in cui perdiamo tutti il rispetto di noi stessi, dire che è di vista corta è misericordia. Gli anni di Berlusconi hanno fatto emergere la verità di una forma democratica in sfacelo“.

Ancora:

Se da noi l’illegalità-chiave sono i partiti occupatori, la nazione ha il dovere di non più tollerarli. Se le illegalità sono milioni, una sola grossissima (corsivo de “La Stampa”) può purgarle tutte come un immane clistere: una rivolta popolare che sommerga letteralmente sedi e palazzi governativi e parlamentari; una marcia su Roma non di lugubri teschi ma di cittadini; un risveglio del Colosso di Goya fatto di uno, due, tre, quattro milioni di teste; la resurrezione di Bruto (…) A cosa può servire un processo dopo l’altro contro persone singole, quando un’intera classe dirigente è imputabile? Ad Ercole occorrerebbero milioni di braccia per ripulire le stalle di Augìa di questa Penisola.

E dopo il purgone, rifare tutto senza un solo batterio di quel che è stato. Eleggere una Costituente di facce nuove, senza più destra-sinistra, vuote occhiaie. Una Costituente presidenziale capace di stanare un uomo giovane, incontaminato, un Kemal Ataturk libertario, figlio di qualche sobborgo disperato, e di farne un Primo Console.

Fino a un coma tragico me l’hanno addormentata, questa parassitosa nazione. Non si vede, dappertutto stendiamo lo sguardo, che passività incurabile, torpore, inebetimento(…) La piazza egiziana ha acceso un barlume di speranza: il suo messaggio viaggerà lontano. Un Egitto che immagina qualcos’altro, per sé e per tutti, irradia una luce insolita di fresca aurora.

Profetico Ceronetti! La “grossissima illegalità” (cioè l’insurrezione); lo “immane clistere che purga milioni di illegalità”; la “rivolta popolare che sommerga tutto”; il “risveglio del colosso di Goya”; la “resurrezione di Bruto contro l’intera classe dirigente”: questo sacrosanto proclama su “La Stampa” viene 35 anni dopo che la cover story del mensile milanese “Europa Domani” invocava le stesse cose. Con un’allegoria un po’ diversa: un popolo che si fa Ulisse e spegne tutto dei Proci -partiti, politicanti, Costituzione, urne elettorali- con un arco possente su cui è scritto ‘Democrazia Diretta’ (diretta non di tutti ma di una macrogiuria dei migliori).

Io che suggerii quella copertina e avanzai quelle proposte, incoraggiato da un editore lungimirante, mi dichiaro oggi fautore e seguace entusiasta del clistere di Ceronetti. Però in tutta umiltà gli oppongo: la Costituente presidenziale di facce nuove, capace di stanare un Kemal Ataturk, non va eletta (si ritroverebbe le facce vecchie). Va sorteggiata randomcraticamente dal computer, sorteggiata con selezioni progressive e sempre più meritocratiche (per esempio, il ministro semestrale della cultura, solo tra accademici dei Lincei) proprio tra quel paio di milioni di teste che Ceronetti chiama a raccolta. Esse sono, cancellato il suffragio universale generatore del mefitico che è questa seconda o terza repubblica, portatrici di valori e di costumi infinitamente più alti. In prima fila vengono coloro che per qualche anno hanno fatto volontariato, oppure hanno virtù e saperi oggettivabili quali i più (politici compresi) non posseggono.

Tra questo popolo di supercittadini -non di iscritti all’anagrafe- si sorteggi una Costituente fervida e guidata da un uomo superiore; persino da una donna superiore, ispirata come Giovanna d’Arco o eroica come Madre Teresa di Calcutta.. Questa persona superiore Ceronetti la chiama Kemal Ataturk o Primo Console, e fa bene. Io, richiamandomi alle opere concrete di un dittatore filosocialista contemporaneo di Ataturk, la chiamo Miguel Primo de Rivera. E rimpiango non possa chiamarsi Manuel Fraga Iribarne, che conobbi come il più colto e acuto tra i governanti spagnoli ma che è caduto per l’errore di acconciarsi ai furfanteschi giochi parlamentari-elettorali. In ogni caso il nuovo Kemal dovrà avere virtù e mani salde, e poi durare poco come M. Primo de Rivera. I due milioni di futuri cittadini-arconti (ad Atene ogni coltivatore dell’Attica poteva essere sorteggiato arconte per un giorno) non assurgeranno se non saranno capeggiati da un Ulisse dall’arco infallibile.

A.M.Calderazzi

3 commenti

  1. Ecco – davvero affascinante questo articolo, e vorrei anche trovare l’articolo completo di Ceronetti….

    Mi sorge la voglia assoluta di sapere esattamente COME si potrebbe gestire una Randomcrazia… COME, in dettaglio, si possa qualificare per ogni postazione governativa.

    Sono interessato nella possibilità e nell’idea, e quindi ne voglio sapere di più per saperla difendere meglio..!!

    Magari fra poco leggo RANDOMCRACY: How it would work e vedo se risponde alle mie domande. Comunque credo che un piano preciso sia da preparare.

    1. GUIDO CERONETTI da La Stampa del 6 febbraio 2011

      In termini di filosofia politica, nei moti tunisini e egiziani si può intravedere il sorgere di una forma nuova di associazione cittadina che anela a istituzionalizzarsi in modo autonomo secondo il modello generico delle democrazie laiche. Questi processi faticheranno certamente a concludersi: in verità è vera democrazia il mai finito. Le convulsioni della nazione più potente – scardinando necessariamente il sistema di potere religioso islamico, che reagirebbe alla minima scalfittura – potrebbero durare a lungo, e costare botte, furori, sangue.

      Noi non sappiamo far altro che deplorare sempre, ogni momento, ipocritamente, la violenza. Eppure la Convenzione, in Francia, svaginò la democrazia tagliando indegnamente teste; De Gaulle la salvò tra le bombe; la creazione di una autentica democrazia nella Spagna schiacciata dalla Chiesa cominciò entre ríos de sangre nel 1936, e durò quarant’anni; l’incompiuto risorgimento italiano ebbe bisogno di un tempo analogo, interamente costellato di violenze. Quel che oggi complica tutto è una verità tra le più allarmanti, questa: «La perdita di patria sta diventando un destino mondiale» (Heidegger, Lettera sull’umanesimo; e la data è significativa: 1946). Nessuna democrazia moderna (e neppure quella ateniese) è nata senza il terreno solido di una patria, surrogato della religione perdente, in fuga dalla tolleranza.
      Dovunque, globalizzazione e consumi sono perdita di patria, diaspora d’esilio; il loro esito, e lo vediamo, se vogliamo vederlo, è disperazione economica, guerra mercantile tra entità statali prive di nome.

      Un trapianto d’industrie è la celebre fuga a Samarcanda del vizir che incontra la Morte nel suk di Baghdad: non sfuggirà alla fatalità.
      Una crisi come quella che si è aperta al Cairo non può essere fermata con la semplice cacciata dal potere dell’uomo che si illudeva di fondare una dinastia di regime, sia pure stato a lungo quel che chiamiamo un «fattore di stabilità», per il pavido Occidente.

      Se in Italia c’è chi pensa che togliendo di mezzo secondo regole da inventare Berlusconi si fa il bucato a una democrazia in condizioni di agonia (sebbene affondata nella globalità più sbandante) come questa in cui perdiamo tutti il rispetto di noi stessi – dire che è di vista corta è misericordia. Gli anni di Berlusconi hanno il merito di aver fatto emergere dalla babele delle parole l’immangiabile verità di una forma democratica in sfacelo, come la casa degli Usher di Poe. Andate a leggervi quel racconto e vedrete qualcosa di simile alla democrazia italiana di questi Tristi Duemila.

      Se da noi l’illegalità-chiave sono i partiti occupatori, ridotti a fazioni ruffiane di potere – come anomalmente predicano Pannella e i radicali – la nazione ha il dovere di non più tollerarli. Se le illegalità sono milioni, una sola grossissima può purgarle tutte, come un immane clistere: una rivolta popolare che sommerga letteralmente sedi e palazzi governativi e parlamentari, una marcia su Roma non di lugubri teschi ma di tricolori-multicolori persuasi del vento che li spinge, di cittadini vedovati di identità patria, un risveglio del Colosso di Goya fatto di uno, due, tre, quattro milioni di teste – la resurrezione di Bruto!

      Intorno al 1880, il marchese Cesare Alfieri di Sostegno raccomandava: «Chiudete quelle fogne amministrative di Palermo e di Napoli!»: benissimo, ottimo consiglio – via le fogne, via le infezioni mafiose, la restituzione all’aria della sua respirabilità. A cosa può servire fare un processo dopo l’altro (in verità: minacciarlo, coitus reservatus) contro persone singole, quando una intera classe dirigente è imputabile di fellonia, di tradimento, di sbranamento dell’unità patria?

      A Ercole occorrerebbero milioni di braccia per ripulire le stalle d’Augìa di questa famosa Penisola!
      E dopo il purgone bisognerebbe rifare tutto senza un solo batterio di quel che è stato, eleggere una Costituente repubblicana di facce nuove, senza più destra-sinistra, vuote occhiaie – una Costituente presidenziale capace di stanare un uomo giovane, incontaminato, un Kemal Ataturk libertario, figlio di qualche sobborgo disperato, e di farne un Primo Console. L’ossessione dell’economia globale, dell’investimento a oltranza, con le sue triviali predicazioni sulla crescita del prodotto e del suo forsennato consumo, spinge a capofitto nel baratro, fa crescere essenzialmente la sete di denaro, perché il Pensiero Unico è padre di crimine, alimenta cronaca criminale… Ma finalmente ridiamo un po’ di ossigeno a questo linguaggio asfissiato!

      Fino a un coma tragico me l’hanno addormentata, questa parassitosa nazione di divisioni perpetue, che ha avuto dei Machiavelli ammutoliti, ma non un De Gaulle capace di dirci che ci ha capiti.

      Non si vede, dappertutto stendiamo lo sguardo, che passività incurabile, torpore, inebetimento… (Così bene lo previde, nel suo romanzo postumo, Guido Piovene).
      La piazza egiziana ha acceso un barlume di speranza: il suo messaggio ancora sigillato viaggerà lontano. Un Egitto che immagina qualcos’altro, per sé e per tutti, è una pietra preziosa che irradia una luce insolita di fresca aurora.

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