LA BORSA DI STUDIO COMPORTERA’ QUELLA DI SOPRAVVIVENZA

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L’esplosione demografica degli atenei dovrebbe terrorizzare quanto quella delle bidonvilles africane. Attorno alle nostre università le strade e le piazze formicolano di studenti, i più visibilmente venuti dalle periferie proletarie. Lezioni, per esempio di diritto, che richiedono non aule, ma grossi cine-teatri, con impianti d’amplificazione acustica di tutto rispetto.

Mi viene in mente quella volta, in un tempo lontano, che m’ero seduto per fatti miei nel banco più basso di un anfiteatro universitario perfettamente vuoto. Invece arriva il cattedratico, mi prende per un suo uditore e avvia la lezione solo per me. Che gli studenti fossero pochi era normale. La lezione dovetti sentirla tutta: il cattedratico tenne entrambe le mani sulle mie spalle: un po’ per bonarietà, un po’ perché l’uditore non sparisse.

Quell’anfiteatro contenente solo me accidentale è l’opposto metafisico dei maxi cine-teatri d’oggi, straripanti di moltitudini. Bene così. Giusto sia finita l’iniquità degli atenei per i piccoli numeri espressi dai licei, ehm, elitari. Oggi pochi proletari rinunciano ai figli universitari. Ma poi viene il vuoto. Chi ha fatto la fatica di prendere una laurea, magari triennale e persino on-line, cercherà di non lavorare in fonderia. Aborrirà la zappa. Al massimo dell’umiltà guiderà un taxi o farà il concorso per vigile urbano. Ma i vigili saranno pochi, forse diminuiranno. La competizione tra leve incalzanti di candidati alle professioni liberali e ai posti da tavolino o da tuta bianca si farà più feroce. Ciascun candidato sarà tentato di farsi caino di un altro. Gli studi e le posizioni esistenti, quelli che spettano ai figli e ai nipoti dei professionisti affermati, o appena sbarcanti il lunario, si terranno tutti i clienti e gli stipendi. Di che camperanno le turbe laureate?

Veniamo così alla conseguenza ineluttabile. Saremo costretti ad essere coerenti con la filosofia egualitaria che ha voluto il trasloco delle lezioni nei cine-teatri. Dovremo fare il passo successivo, quello che sarà accettato solo da una società parasocialista. Il conferimento di una laurea comporterà l’assegnazione di una borsa pluriennale, non più di studio ma di (magra) sussistenza. I dottori in possesso dei requisiti x e y saranno mantenuti (come Dio vuole) se dimostreranno d’essere disoccupati con figli o madri vedove a carico.

Il costo di questa coerenza essendo proibitivo, si abbasserà la saracinesca su varie botteghe della società organizzata sui beni, sul mercato, sulla libera iniziativa, sulla sacertà del diritto, sulla competizione, sulla vittoria dei più forti, persino sul dovere di lavorare. Dovrà vivere anche chi non lavorerà. Andranno distrutte le vecchie icone: produttività, progresso, pensioni generose agli anziani, visibilio d’ammirazione per gli operai-padroncini che in Veneto domano le esondazioni, per i finanzieri di piazzetta Cuccia e per le ‘grida’ della Borsa, cuore, polmone e cistifelia della modernità.

I conati di sinistrismo sono meritatamente falliti ovunque, ma ovunque occorrerà tornare agli sforzi di un secolo fa per umanizzare il vivere collettivo. Scopriremo di avere sbagliato a ripudiare gli ideali sociali solo perché gli esperimenti di socialismo hanno premiato i peggiori e incanaglito il costume pubblico. Guidati dai puri di cuore e non dai politici ed intellettuali ‘democratici’, ci convinceremo che sempre più le nostre società saranno contesti di senza lavoro e di precari. L’ultimo numero di Newsweek afferma che Obama entrerà nella storia solo se dirà all’America “la catastrofe economica che la attende”.

Solo la scelta di programmi parasocialisti di solidarietà austera mitigherà la sofferenza degli svantaggiati. Le tasse saliranno, il Pil scenderà, gli investitori e i redditieri fuggiranno, il benessere degli Ottanta resterà un ricordo. Ricordo non bello: i laureati senza lavoro sono una delle battaglie perse, una delle brutture da cancellare.

L’Ussita

1 commento

  1. Credo che un problema monumentale della percezione popolare della ‘laurea universitaria’ è che sia semplicemente un prerequisito/una garanzia ad un futuro sicuro e impegnato di lavoro.

    MA STIAMO SCHERZANDO?!

    Certo, l’educazione è importante, ma non deve e non può garantire un futuro sicuro. Se la gente crede di mandare i propri figli all’università perchè così avranno lavoro sono davvero illusi.

    Sono stato all’università, conosco gente universitaria, e non credo di essere l’unico ad aver percepito che troppa di questa gente si sta godendo l’ultimo periodo nella loro vita mantenuti dai genitori, spassandosela, e studiando solo il necessario per non farsi bocciare. Poi, qui in Italia, non ti cacciano neanche!!

    Credo che non ci sia bisogno di stipendiare i laureati solo perchè sono laureati – e non ci sia neanche il bisogno di spingere tutti a laurearsi.

    Credo che il bisogno sia di ridimensionare un attimo le aspettative e le ragioni di essere e di fare.

    L’educazione da consapevolezza, esperienza, una certa forma di potere (o almeno i mezzi necessari per ottenerla) – ma dovrebbe tornare ad essere vista come PRIVILEGIO (così almeno quegl’idioti che studiano apprezzerebbero quello che hanno il CULO di poter fare, e non si lamenterebbero da mattina a sera). Questo privilegio, però, non diventa poi un vassoio d’argento che ti porta la vita facile, ma invece un’arma che dovrebbe darti la spinta per FARE.

    Credo che in questa società, il sistema educativo spinga (almeno le masse) a NON-FARE: fai l’universitario, ‘studia’, che poi hai lavoro facile. Oppure, se non vai all’università, non provare neanche a FARE, è inutile..

    Per lavoro facile, intendo lavoro che sembra essersi creato in sinergia con le università: lavoro che senza la laurea non puoi avere, ma che comunque viene fatto da gnu-laureati che hanno seguito una via predeterminata (e quindi ‘facile’..). Il sistema ci ha detto anni fa: “prendi la laurea in ECONOMIA (per esempio), che si fanno i soldi!” Le masse si sono mosse, seguendo i passi necessari per avere la laurea che gli avrebbe dato sicurezza (finanziaria, tra l’altro, non stiamo mica parlando di soddisfazione o felicità) e quindi, inevitabilmente, il sistema sta crollando: ci sono troppi laureati per i posti lavoro… che sorpresa!

    Non ho nessun senso di colpa nei confronti di questi individui. Sono stati pigri ed ingenui. Pur essendosi fatti il culo per la laurea – non hanno fatto altro che seguire nei passi della persona che gli stava davanti.

    D’altro campo, però ci sono anche gl’individui che vanno all’università per una laurea meno ‘pratica’ – storia, arte, filosofia, lingue… che, come gli gnu di prima, si trovano senza lavoro. Questo mi porta alla sintesi di tutto: siamo in tanti e se cerchiamo di sostenere il sistema universitario come PRE-lavoro continueremo a farci fottere. Se invece lo vediamo come una cosa che nel MENTRE di farla è di valore incommensurabile all’individuo e quindi al popolo, ma senza entrare in certi schemi, beh, allora l’educazione sarà tornata al suo giusto posto.

    “I laureati senza lavoro sono una delle battaglie perse, una delle brutture da cancellare.” Mah. Direi che il problema è molto più basico. L’educazione come pretesto al lavoro, e non più come privilegio e occasione per migliorarsi, è una guerra su di se stessi e una mentalità che sta già portando le masse a guardarsi intorno chiedendosi dove hanno sbagliato e perchè il sistema non ha funzionato come promesso.

    Si dice che in quest’epoca i giovani sono presentati con troppe scelte per poter prendere una retta via senza confusioni e illusioni. Ma allora, perchè sembra che tutti stiano cercando le stesse strade?

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