IL TAGLIO DEL GETTONE

Può anche capitare che qualcuno del PD faccia o dica la cosa giusta. L’evento si è verificato nella tarda serata del 30 novembre a Como, nella sala consiliare di Palazzo Cernezzi, sede del comune. Protagonista un sinora oscuro consigliere del partito democratico, appunto, che naturalmente anche nel capoluogo lariano sta all’opposizione. In un’atmosfera che ci è stata descritta tesa, attenta e quanto meno rispettosamente silenziosa, quasi (fatte le debite proporzioni) come quella in cui Bettino Craxi pronunciò a Montecitorio la sua memorabile confessione-requisitoria, Bruno Saladino, questo il suo nome, ha sferrato un durissimo attacco contro la decisione della giunta comunale di ridurre del 25% il gettone di presenza dei rappresentanti della cittadinanza, che ammonta a 70 euro lordi.

Una decisione ridicolmente demagogica, egli ha tuonato, perché fa passare per membri della casta privilegiata persone che, come lui, percepiscono stipendi netti mensili di 350-400 euro, e perché la si spaccia per un esemplare taglio dei costi della politica “in un paese dove il ladrocinio impera…la politica offre esempi di ruberie e mangiatoie invereconde, dove alcuni parlamentari del passato incassano vitalizi persino reversibili dopo tre giorni di legislatura, dove i rimborsi elettorali ai partiti corrispondono a cifre enormi che i partiti non sanno quasi come spendere”. Chi ha preso tale decisione soffre di “sindrome da straccioni”, ha stranamente concluso, non avvedendosi, si direbbe, che una simile accusa potrebbe essere rivolta piuttosto a lui.

In realtà il prode Saladino ha ragione da vendere su tutta la linea. I costi che si tagliano in questo caso sono infinitesimali, irrisori e sostanzialmente irrilevanti anche a confronto di riduzioni (finora solo ventilate) molto più modeste delle retribuzioni dei nostri deputati, senatori, parlamentari europei e consiglieri regionali, notoriamente fra le più alte al mondo e spesso rese ancor meno giustificate da sistematici assenteismi. D’altra parte, né Saladino né altri come lui (che pure ce ne saranno) dovrebbero eventualmente vergognarsi di risentire quel taglio come un sacrificio del tutto inutile qualora svolgessero decentemente le loro funzioni essendo privi di altri proventi più o meno lauti.

Benjamin Constant, pioniere del liberalismo ottocentesco, ammoniva nel 1815 a non offrire alcuno stipendio ai rappresentanti del popolo perché retribuirli non significa “interessarli ad esercitare con scrupolo le loro funzioni ma solo a conservare queste funzioni”; riteneva accettabile solo una modica indennità. Perfino lui, se fosse vivo, solidarizzerebbe probabilmente con Saladino e si domanderebbe semmai, come facciamo noi, se la frugalità sfoggiata dai promotori del taglio comasco non nasconda per caso il proposito di continuare imperterriti, ad esempio, a svuotare le casse comunali assegnando ricche commesse, consulenze, appalti e permessi a parenti, amici e amici degli amici e dei parenti.

Sta comunque di fatto che, dopo avere ascoltato senza fiatare la filippica del dissenziente, la grande maggioranza dei consiglieri, capeggiata dagli uomini della Lega Nord e della residua sinistra di classe, ha tranquillamente approvato la proposta della giunta. Trionfa dunque, stavolta in provincia, il vizio di abbindolare gli elettori a spese del buonsenso, mentre nella capitale gli eletti, più candidi, si tengono bene stretto il caffè della buvette a prezzo di favore.

Licio Serafini