…ma non siamo il fanalino.
Corruzione male europeo,o meglio paneuropeo, non c’è dubbio. Lo comprova l’abbondanza di strumenti per combatterla messi in campo negli ultimi decenni dalle maggiori organizzazioni continentali: due convenzioni del Consiglio d’Europa (1999), due dell’Unione europea (1995, 1997) più una specifica direttiva di Bruxelles (2003), una convenzione dell’OCSE (formata in maggioranza da paesi europei) del 1997 e sottoscritta finora da 38 Stati membri, e altre ancora. Senza contare quella dell’ONU, aggiuntasi nel 2003 ad una precedente delle stesse Nazioni Unite per la lotta contro la criminalità organizzata internazionale (Palermo, 2000). L’apprestamento e l’attivazione, inevitabilmente laboriosi, di un simile dispositivo hanno dato risultati in qualche caso apprezzabili ma complessivamente non ancora soddisfacenti e tanto meno definitivi. Resta comunque acquisito il significato di un impegno collettivo eloquente riguardo alla sua motivazione.
Il male, tuttavia, non è equamente distribuito nel vecchio continente. Ne sono particolarmente flagellate la Russia post-sovietica e il resto dell’Europa ex comunista, sulle quali ci siamo già soffermati negli scorsi mesi. Al di qua dell’ex cortina di ferro le cose vanno nell’insieme alquanto meglio ma la situazione si presenta ugualmente seria, in parte anche grave e semmai in via di peggioramento. Ne fanno fede le ormai ben note classifiche annuali di Transparency International, tuttora preziose benché la loro assoluta attendibilità venga oggi messa in discussione e si cerchino strumenti alternativi di indagine e valutazione di un fenomeno dalle molte facce e con aspetti spesso inediti.
Anche i dati più recenti di TI confermano la superiore virtuosità dell’area nordica dell’Europa occidentale, i cui paesi si collocano in blocco nei primi dieci-dodici posti della graduatoria mondiale con voti intorno a 9 su 10. In loro compagnia si trovano Svizzera e Olanda, mentre un po’ più giù nella scala, con voti intorno a 7-8, si situa il grosso dei paesi della fascia centrale con in testa i maggiori (Germania, Gran Bretagna e Francia, in posizioni vicine a quella degli Stati Uniti). Più giù ancora non solo geograficamente troviamo l’area mediterranea, con Spagna e Portogallo intorno ad una stentata sufficienza e Italia e Grecia, invece, molto al di sotto di essa.
Ma c’è anche una differenza di qualità. A sud la corruzione si presenta più o meno diffusa in ogni settore, benché non paragonabile a quella dilagante, ad esempio, in Russia, come abbiamo visto. Nel centro-nord, invece, predomina un settore specifico che è quello dei rapporti tra imprese esportatrici o investitrici ed enti finanziatori, pubblici e privati, da un lato, e mercati esteri, in particolare del mondo sottosviluppato, e relativi governi e altri organismi pubblici dall’altro. In questo campo, quanto meno, si sono registrati negli ultimi anni gli scandali più clamorosi e comunque di più rilevante entità. Che poi si tratti di un aspetto minore della corruzione rispetto agli altri dipende dai punti di vista. Sembra però che stia perdendo quota la teoria del “when in Rome”, cioè la tendenza ad assolvere quanti si comportano male per un necessario adeguamento ad usi e costumi locali.
Lo si potrebbe spiegare anche col fatto che le infrazioni delle regole vigenti, quando sono punite, provocano esborsi decisamente cospicui. E’ accaduto a grossi nomi dell’industria tedesca e britannica come Siemens (multata per 1,6 miliardi di dollari in Germania e Stati Uniti), Daimler (185 milioni) e BAE Systems (400 milioni), quest’ultima per vendite di armi all’Arabia Saudita. Tra le società programmaticamente impegnate a combattere la corruzione brilla invece la svedese Ikea, che ha adottato severe misure per mantenere pulite le proprie attività su un mercato scabroso come quello russo, rivaleggiando quindi con il comportamento esemplare che viene attribuito all’americana Texaco (oggi integrata nella Chevron) in Africa.
Condanne a pene carcerarie sono toccate a vari politici francesi di spicco per forniture militari all’Angola negli anni ’90 in violazione dell’embargo decretato dall’ONU. Ancora più di recente sono venuti alla luce abusi ed illeciti connessi ad analoghe forniture della Francia al Pakistan. Traffici di armi e altro con paesi dell’ex Jugoslavia durante e dopo la guerra civile hanno inoltre fatto dapprima la fortuna e provocato poi il crollo di una banca austriaca, il Hypo Group Alpe-Adria, vicina al ben noto quanto controverso leader carinziano Joerg Haider e infine nazionalizzata. Ciò non impedisce all’Austria di figurare tra i paesi relativamente virtuosi nonostante qualche altro trascorso non edificante in fatto di collusioni tra politica e affari.
Non così, invece, la Spagna, teatro fra l’altro di uno scandalo di colossali proporzioni che anche per la sistematicità e la durata delle pratiche corruttive ricorda da vicino vecchi e nuovi casi nostrani. Si tratta in particolare delle isole Baleari, dove, con l’apparente favore del regime di “comunità autonoma” vigente nell’arcipelago, ha imperversato per un trentennio quello che è stato definito un “laboratorio della corruzione politica in Europa” (“Le Monde diplomatique”, giugno 2010), fondato su una selvaggia speculazione immobiliare e tradottosi nel saccheggio delle casse pubbliche a vantaggio dei partiti. Centrale, tra questi, il ruolo di una piccola formazione locale a base clientelare alleata però a periodi alterni con i socialisti (PSOE) e con i popolari di destra.
La Spagna, ciò nonostante, ha conservato una quotazione, se non brillante come già accennato, almeno sensibilmente migliore di quella dell’Italia. Alla quale dedichiamo qui, per ora, solo un breve cenno, partendo dall’amara constatazione che per il nostro paese non sembra esserci limite al peggio. Anche nel 2009, infatti, è proseguito un trend negativo che dura da numerosi anni. Come la stampa quotidiana e periodica ha ampiamente riferito e più o meno adeguatamente commentato nello scorso ottobre, la graduatoria di IT ci colloca al 67° posto nel mondo, tra Ruanda e Georgia, dopo il 63° del 2008, con una riduzione del voto da 4,3 a 3,9.
Tra i commenti merita rilievo quello dell’on. Osvaldo Napoli, vice presidente dei deputati PDL, apparentemente dimentico che già la Corte dei conti aveva reso noto in febbraio che i casi di corruzione erano aumentati rispetto all’anno precedente del 229% e quelli di concussione del 153%. Secondo l’autorevole parlamentare la situazione nella pubblica amministrazione è migliorata, ci possiamo consolare perché non siamo il fanalino di coda nell’Europa occidentale (alle nostre spalle resta infatti la Grecia) e, comunque, il disegno di legge anti-corruzione approvato nello scorso marzo dal governo consentirà di risolvere definitivamente il fastidioso problema. Come quello dei rifiuti di Napoli, è da presumere.
Franco Soglian