AGORA’ ELETTRONICO E DEMOCRAZIA DEGLI INTERESSI

Conversazione con un vecchio politico-filosofo.

Piero Bassetti: il principio “un uomo, un voto” non funziona più.

“Se il fax e la fotocopiatrice hanno portato alla caduta del comunismo, l’agorà elettronico potrà mettere in crisi i sistemi parlamentari. Ma non è solo in Italia che tarda a svilupparsi una vera riflessione sul rapporto tra innovazione tecnologica e nuova statualità”. Piero Bassetti, che in anni lontani fu presidente della Regione Lombardia, poi deputato, poi presidente della Camera di commercio milanese e dell’Unioncamere, pensa e dice queste cose, così dense di futuro e anche di destino, allorquando gli altri esponenti di vertice non si preoccupano che delle prossime settimane.

Il vero lavoro politico comincia ora che vanno demoliti i muri decrepiti per edificare la casa nuova. Occorre assolutamente progettare. Nell’Occidente si dà per scontata la perennità di modelli che invece agonizzano. Si veda il sistema parlamentare, sul quale Piero Bassetti vede incombere la crisi: “Quando si cambia la categoria del tempo e dello spazio, si cambia anche la politica. Assumendo una nuova concezione del tempo e dello spazio, l’informatica ha avviato irresistibilmente una delle grandi forze epocali. La democrazia parlamentare era basata sulla rappresentanza. Essendo informato quasi quanto il principe, il rappresentante era in grado sia di controllare quest’ultimo, sia di raccogliere il consenso. Sostanzialmente il senso della rappresentanza era in una mediazione, oggi si direbbe brokeraggio, tra l’informazione e il governo.

Coll’avvento dell’agorà informatico e di milioni di televisori il rappresentante non serve né per portare il governo al popolo, né per raccogliere le richieste dei cittadini: esiste il sondaggio virtualmente in tempo reale. Quando legge il messaggio sullo stato dell’Unione, il presidente degli Stati Uniti ha sul tavolino l’indicatore di gradimento di 7-8 minuti prima. A questo punto è chiaro che non ho più bisogno del rappresentante. Il paese si trasforma in villaggio elettronico. Il territorio nazionasle, in un’agorà”.

“Non accorgersi che i meccanismi della democrazia sono tutti intaccati dall’informatica è da ciechi. I fatti, se uno riflette, sono di un’evidenza clamorosa. E’ tutto l’impianto, la ratio, direi al limite i valori della democrazia, che vengono modificati. Allora si possono avere due atteggiamenti. Uno può fare il laudator temporis acti e dire “che peccato!”, oppure si può chiedere come addentrarsi in questo mondo nuovo. Secondo me la spinta è “indietro non si torna. Internet c’è. Che si fa?”

D. –Perché lei appare solo, virtualmente, a pensare in questi termini? Forse avrebbe come compagno Mario Monti, cui nel marzo 1993 il “Corriere della Sera” attribuiva la convinzione che si potrà arrivare “forse in un futuro non molto lontano, a un sistema fantapolitico di teledemocrazia con cui la popolazione potrebbe esprimere direttamente il proprio parere consultivo utilizzando una tastiera da casa propria”. Negli ultimi anni lei ha certamente visto i numerosi interventi dell’”Economist” su questo tema. La tesi dell’Economist è che la classe politica occidentale non ne fa più una giusta e non ha una funzione, e inoltre si fa comprare dalle lobbies. D’altronde anche “The Economist” è isolato. Sono quasi tutti contrari all’elettronica politica, dicono che porta al Big Brother. Che ne pensa Bassetti?

“Sono d’accordo coll’Economist: le classi politiche sono ormai spesso out. Il discorso che stiamo facendo è quello della nuova statualità. In quella vecchia ci volevano dieci anni per fare una legge. Per guidare i processi moderni occorre il tempo reale. La macchina del potere pubblico è rotta. Lo Stato non è in grado di contrastare gli interessi, può solo servirli. Il lobbismo è l’alternativa alla corruzione: o lei si fa fare la legge che le va bene dal suo deputato, oppure storta la legge presso il funzionario”.

D. – Che proposte fa?

“Il nostro concetto di nuova statualità è centrato sull’impossibilità di trascurare la democrazia degli interessi, per il quale il principio della democrazia elettorale “un uomo, un voto” non funziona. Si pensi cosa sono i nostri piccoli e medi imprenditori: la loro forza è la rapidità delle decisioni. Per interfacciarli dobbiamo assolutamente mettere in piedi una pubblica amministrazione informatizzata. E per la verità il tasso di crescita dell’informatizzazione in Italia è tra i più alti, secondo solo a quello degli Stati Uniti”.

D. – Saremo noi quindi a sperimentare l’agorà elettronico assieme agli americani? Il loro modello di agorà è riflessivo e responsabile, è il town meeting del New England, l’assemblea dei contribuenti del villaggio, che ogni nuova spesa devono pagarsela da sé.

“Senza dubbio. Gli anglosassoni, i protestanti in genere, hanno il senso della comunità. Sono convinto che la riorganizzazione del potere, quella che trascenderà la democrazia formale, non porterà ai mali che usiamo collegare all’assenza della democrazia. Si sta ripetendo una situazione come quella al tramonto dell’Impero romano. Quando arrivarono i barbari gli ultimi senatori reagirono “non c’è più religione” Come gli intellettuali che oggi protestano contro l’agorà elettronico”.

D. – Perché Bassetti non pensa come loro?

“Perché la vita è fatta di diversità, di anomalie. Peraltro io sono solo nell’impegno, non nell’analisi. Le posso assicurare, di gente che sa queste cose ce n’è; però non fa politica. Comunque nei momenti di cerniera vengono fuori gli ibridi, gli anomali. Mi piace vivere l’esperienza epocale. Anche per questo sono un lettore di Montaigne”.

“Gli stessi italiani che fecero il Rinascimento mettono oggi le migliori energie nell’impresa. Cinque milioni di imprese. Ogni dieci italiani c’è un’imprenditore, che ha fatto parecchi soldi. Come dice l’Economist, questa scorta di soldi ci permetterà di fare una trasformazione politica costosissima senza andare a fondo. Noi costruiremo una democrazia che sconta la vera crisi della politica, con una visione diversa della rappresentanza. Abbiamo una vera e propria popolazione di imprenditori, i quali non ragionano come i consumatori o come gli operai. Quando gli imprenditori tramite le loro organizzazioni ed istituzioni -una delle quali è il sistema delle nuove Camere di Commercio- entreranno nel nuovo processo decisionale, avranno un enorme vantaggio: essere tra i più globali in un mondo che si fa globale. A gente d’impresa parli di Pechino e loro a Pechino sono stati già sei volte”.

Fin qui Piero Bassetti. Le enunciazioni dirompenti, diciamo noi, se non vengono propagate tra la gente, restano un fatto intellettuale, sia pure avanzatissimo rispetto al conformismo di oggi, che concepisce solo i partiti e le loro vendemmie elettorali. Un giorno, magari non troppo lontano, la restaurazione partitocratica seguita al crollo del totalitarismo risulterà effimera, la devozione ai parlamenti cesserà d’incanto (così come il 26 luglio 1943 scomparvero tutti i distintivi col fascio), e i giornalisti si ricicleranno mettendosi a deridere le generazioni che avranno idolatrato le urne. Ma oggi Piero Bassetti è un precursore che grida nel deserto. Non è un convertito recente. Sono anni che addita la vitalità della partecipazione e degli interessi economici diffusi, contro i giochi di vertice e contro il lobbying dei grandi gruppi. Gli strumenti di organizzazione politica delle imprese dovranno essere chiamati a svolgere un ruolo nella “riorganizzazione del consenso”. A questo proposito Bassetti non esita a richiamare “il retaggio di un certo corporativismo, spesso snobbato dalle teste d’uovo della politologia, che pure costantemente riappare nella storia delle istituzioni europee ad ogni vigilia di innovazioni rilevanti”. Naturale il riferimento al ricco passato italiano “di aggregazione politica degli interessi: dalle “università di mercanti” alle corporazioni, alle Repubbliche mercantili. Si impongono mediazioni di tipo nuovo tra imprenditorialità e consenso”.

Al fondo di tutto è la ricerca di “nuovi modi di articolazione dei processi decisionali e del funzionamento della democrazia, intesa come rappresentatività e come governo della Polis. Posto che la complessità dei problemi è tale da escludere chi non è competente in senso specifico, come si può conservare la democrazia se la sostanza stessa della democrazia resta la partecipazione non competente? Delegare la complessità a organi tecnicizzati, oppure semplificare e affidarsi al demos?”. Bassetti insiste che in presenza di una popolazione di imprese, le quali hanno un rapporto col territorio tutto diverso da quello dei cittadini, il problema della rappresentanza nella polis “non si risolve con gli schemi della rappresentanza generale, bensì dando spazio alle espressioni dei fattori produttivi. Oggi è l’innovazione assai più che il Principe a fare la storia. Il confronto tra il potere del Principe e quello dell’impresa ha posto fine alla vecchia politica, fondata sulla rappresentanza formale delle “parti” politico-ideologiche. La nuova statualità va fondata in misura importante sull’integrazione degli interessi espressi in Italia da oltre cinque milioni di imprese. L’uomo che ha a lungo capeggiato tutte le Camere di commercio italiane propone quelle Camere come “portatrici del patrimonio genetico dei ceti economici nell’età dei Comuni, una delle più vitali della nostra storia”.

La distanza di queste idee rispetto alla Vecchia Politica che imperversa in questi “ultimi giorni di Bisanzio” è impressionante. Bassetti non lo dice, ma nel suo sistema c’è ben poco di “compatibile” con le prassi e i congegni della politica tradizionale. In America la demolizione concettuale di quest’ultima è cominciata con le ipotesi “randomcratiche” che affinano la teoria della democrazia elettronica. A Milano Piero Bassetti ha “lavorato ai fianchi” l’avversario –il parlamentarismo/elettoralismo” con l’accoppiata agorà elettronico/democrazia degli interessi.

A.M.C.

Citazioni americane sulla crisi
Del sistema rappresentativo

“Si allarga la domanda di meno rappresentanza formale e più partecipazione reale. Nella seconda metà del secolo ventesimo l’americano medio ha perso interesse alla politica. Il titolo del libro di E.J.Dionne, Perché gli americani odiano la politica, attesta quella che è l’alienazione collettiva più ancora che la tradizionale bassa affluenza alle urne”.
J.W.Carey, Journal of International Affairs

“E’ in atto una mutazione geologica: la crescente obsolescenza di quelle istituzioni -partiti, media, Congresso- che si frappongono tra governanti e governati. I partiti sono moribondi. Il Congresso è un’acqua stagnante, infestata dalle lobbies. Tuttavia il fatto che questi filtri siano destinati a sparire non giustifica alcuna contentezza. Sono un castigo di Dio; tuttavia non buttiamoli, non abbiamo niente da mettere tra noi e il Capo”.
Ch. Krauthammer, Time