UNA VOLTA CHE IL MANIFESTO NON VANEGGIA

Stranamente, uno scritto del quotidiano comunista (Guido Viale, 20 ottobre 2010) mi è parso contenere spunti interessanti; e l’interesse è stato ingigantito dal fatto che l’articolo ha suscitato la riprovazione retro di Rossana Rossanda, veneranda musa e nonna degli intransigenti. ‘Invece di combattere la battaglia della Fiom vuoi chiudere la produzione auto’, questa all’incirca la rampogna all’antica della nostra Rosa Luxemburg.

Ha argomentato Viale: la riconversione ecologica del sistema produttivo e del modello di consumo è un’utopia concreta ….. prima o poi il pianeta Terra entrerà in uno stato di sofferenza irreversibile. Continuare con l’attuale regime produttivo sarà impossibile. La Fiat è destinata a cadere. L’industria dell’auto non ha avvenire, dovrà convertirsi a produzioni completamente diverse, soprattutto in campo energetico. “Se la Fiat non è in grado di garantire diritti e occupazione passi la mano, accollandosi almeno in parte i costi della riconversione”. Molti altri ambiti produttivi esigeranno un cambio di rotta. Chi farà tutto ciò? Viale: “Occorre una nuova classe dirigente, quella attuale non è all’altezza”.

E’ simpatica, per dire, la proposta che Marchionne si accolli costi prima di passare la mano. Detto questo, non conosco, né conoscono i lettori/zelatori del Manifesto, su quali conti Viale basi la proposta di passare a un progetto radicalmente alternativo allo stato di cose esistente. Il progetto prevede, al posto dell’auto col suo indotto, gli impianti di microgenerazione diffusa, le turbine eoliche, microidrauliche e marine, le pompe geotermiche, i pannelli fotovoltaici, gli impianti solari termici e termodinamici. In più Viale addita conversioni da attuare in altri settori: agricoltura; industria alimentare; edilizia; assetti urbani; mobilità; gestione dei rifiuti, delle acque, del territorio; scuola, ricerca e formazione.

Molte di queste visioni ed aspirazioni sono ben più intelligenti e nobili che la difesa dei diritti attraverso le minacce di scioperi generali (per poco Landini, il capo Fiom, non precisava, sorelianamente, ‘scioperi rivoluzionari’). Idee ben più rispettabili che i richiami a leggi obsolete tipo Statuto dei lavoratori, o che i comici sospiri alla Costituzione. Ai fini che ci interessano la Carta del 1948 è rilevante ed utile almeno quanto il codice di Hammurabi o un’orazione di Marco Tullio Cicerone.

Tuttavia la logica e il senso etico avrebbero dovuto indurre Viale a corredare la sua ‘utopia concreta’ con l’invito a tutti coloro che vogliano la rimonta della socialità a dimenticare gli alti Pil e a rinunciare ai livelli di consumi cui eravamo arrivati. Per bene che vadano le riconversioni, è verosimile che i posti di lavoro produttivo diminuiscano; che i pannelli fotovoltaici si facciano soprattutto in Cina e nel Madagascar; che dovremo riscoprire la parsimonia e la vita semplice. Per dirne una e per di più marginale, le vacanze in campeggio o presso i parenti, invece che le crociere oggi offerte da ogni supermarket (discount) per proletari. E il lavoro in tuta invece che in colletto bianco.

L’imperativo è che ‘la nuova classe dirigente’, giustamente liberata dal dogma liberista della Thatcher, si disfi anche di molti dogmi sinistristi; che sappia imporre la cogestione al posto delle lotte; che riesca a redistribuire quote di ricchezza, per esempio addossando ai redditi medio-alti e a quelli astronomici i costi della solidarietà con i bisognosi meritevoli: i ricchi che si indigneranno espatrino, perdendo metà dei beni. Per fare queste cose occorre guadagnare la gente, i molti, non mobilitare i vari ‘popoli’, conciliaboli e girotondi di sinistra. Al pari della Fiom e del Manifesto, conteranno sempre meno.

Jone