UNA METAPOLITICA PER LA SPESA PUBBLICA

L’olandese Jan Timmer, capo del gigante elettronico Philips, fece anni fa la fosca previsione: “Il futuro del nostro continente quale entità industriale fa paura”. Perché? Perché la spesa assistenziale degli Stati non scende in Europa sotto il quarto del Pil; qua e là sale a quattro decimi. Non è abbassabile, anche per l’iniquità di abbassarla. Previde l’economista svedese Assar Lindbeck: “il Welfare State distruggerà le sue fondamenta economiche”.

Cercheremo di mostrare che il Welfare potrà essere un po’ meno costoso solo dopo che saranno state tagliate molto più in grande tutte le altre voci della spesa pubblica; che la politica convenzionale non sarà mai capace di tanto; che dunque dovrà diventare non-convenzionale al punto di trasfigurarsi in metapolitica.

L’assistenzialismo europeo è arrivato al punto che in questo o quel paese uno può teoricamente ricevere 500 euro al mese dal compimento della maggiore età al momento della pensione; che i lavoratori inferiori lasciano agli extracomunitari quelle mansioni umili che i loro padri accettavano pienamente; che gli studenti trovano inammissibili d’estate certi lavori manuali molto ambiti dai coetanei nordamericani; che il contribuente accetta di mantenere alcuni milioni di persone attraverso il sostegno di produzioni rifiutate dal mercato. Un po’ dovunque nel Vecchio Continente regnano le pensioni e vacanze generose, i diritti ai sussidi, le attività ricreative a spese altrui, le burocrazie troppo vaste, il resto. Frattanto milioni di posti di lavoro vengono perduti per il trasferimento di attività produttive in paesi a costi più bassi.

Quando, nella seconda metà degli anni Novanta i repubblicani americani, controllando il Congresso, tentarono di eliminare le superfetazioni del Welfare, si accorsero che il paese che li aveva votati riluttava a seguirli: pur aspirando ad alleggerirsi del peso del sostegno al segmento inferiore della popolazione, e pur avendo accertato i risultati scadenti di un centinaio di programmi sociali lanciati soprattutto (ma non solo) dalle amministrazioni democratiche.

Una volta Ralf Dahrendorf ebbe a scrivere che se in America la carità governativa dava poco e costava troppo, lo Stato assistenziale andava alla deriva ovunque: “ Sarà impossibile mantenerlo. Dovremo essere più fantasiosi di chi promette di mantenere le strutture esistenti. Abbiamo bisogno di una nuova mentalità.”Eppure nessuno prevede tagli drastici alla spesa assistenziale. Li impediranno tanti fattori, dai sentimenti umanitari alla potenza delle lobbies, dai calcoli elettoralistici alle pure e semplici abitudini. Oltre a tutto colpire solo i poveri non risanerebbe abbastanza le finanze.

Ma il Welfare è intoccabile
Si ritorna ai dilemmi di fondo. Si è tentata l’offensiva generale contro l’ipertrofia della spesa, ma è destinata a spegnersi ovunque. Tagliare il Welfare è quasi impossibile, comunque è insufficiente. Più i tentativi di economizzare si concentrano sulle spese sociali, più risultano inutili e si indeboliscono. Ben presto si conclude che la solidarietà è un valore irrinunciabile; che i disavanzi del Welfare sono un costo della società avanzata.

Per metterla in termini più chiari. Il processo politico tradizionale e la finanza normale sono impotenti. Il Welfare ipertrofico lo si attacca solo nel quadro di un assalto impetuoso, rivoluzionario, su tutti i fronti della spesa pubblica. La sola razionalizzazione possibile ha contorni irrazionali. Ha natura di insurrezione. E’ guerra ‘santa’, cioè fanatica e non laica né garantista, contro quasi tutto: il sostegno alle produzioni antieconomiche, gli sprechi, la corruzione, le spese superflue e di rappresentanza, la rapina dei politici, il parassitismo dei burocrati, le frodi dei contribuenti, tutti i mali che si riparano dietro i codici e gli statuti. Molti comportamenti andrebbero puniti coi metodi di Dracone, il terribile legislatore ateniese nel VII secolo, per esempio con le confische prima dei processi. Ma le leggi, corazze dell’esistente, non permettono, e la rapina non cessa.

Poiché il riformismo guardingo, la concertazione, gli altri congegni della società ragionevole non sapranno mai ridurre la spesa pubblica in misura percettibile, non resta che l’impensabile: dimezzarla. Delirio? Rileggiamo Dahrendorf, uno dei tanti che si interrogano su ciò che ci aspetta. ”Per restare a galla nel contesto globalizzato le imprese dovranno ridurre i costi. Molti posti di lavoro finora ben retribuiti verranno eliminati, i salari reali diminuiranno (…) Che faranno gli elettori? Cercheranno soluzioni autoritarie”.

Impotenza della politica
Un primo ministro francese, Balladur, aveva parlato di un ‘ciclo infernale’: la disoccupazione farà salire le tasse, le tasse faranno salire la disoccupazione. Valutazioni del genere, a pari livelli di autorevolezza, se ne potrebbero allineare tante e darebbero meglio la misura di ciò che attende l’assieme dei paesi di vecchia industrializzazione. Forse non saranno conflitti armati tra nazioni come nel passato; però ugualmente si imporranno le logiche e le asprezze della guerra. Sui fronti interni i sacrifici e la disciplina dovranno prevalere sulle garanzie e sulle aspettative.

Ma la previdenza sociale, affrontata da sola, è intoccabile. La si può aggredire solo sventrando il ruolo intero dello Stato. Per risparmiare sul Welfare gli USA dovrebbero preventivamente declassarsi da superpotenza planetaria. Dunque niente grandi avventure tecnologico-militari (tipo scudi stellari), meno flotte navali e aeree, innumerevoli corpi d’armata sciolti, nanizzazione di quasi tutti i costi pubblici. Gli oneri stessi della politica elettoralistica andrebbero falcidiati, rovesciando i tavoli, capovolgendo le priorità. Il Welfare potrà tagliare sul proprio superfluo solo se e quando si sarà inesorabili su tutte le altre voci di spesa. Alla fine esso non costerà meno, perché dovrà mantenere a livelli di sussistenza masse molto più vaste: quasi tutti coloro cui la globalizzazione toglierà il lavoro. Le invocazioni alla crescita saranno inutili. Nell’ultimo sessantennio le aspettative sono cresciute troppo. Il benessere traslocherà nelle società oggi povere, e sarà giusto così. Non sappiamo se avranno le crociere, le happy hours e le lauree triennali per tutti; noi le abbiamo già avute, finiranno.

Poi c’è il costo della corruzione, tutt’altro che irrisorio. Scrisse Gary S.Becker, premio Nobel per l’economia: “Sono pochi i paesi immuni. La matrice della corruzione è la stessa dappertutto: apparati pubblici che fanno troppe cose. I politici e i burocrati potrebbero non essere più venali di altre categorie; certo sono più esposti alle tentazioni. La corruzione ha una storia lunga, però è vistosamente cresciuta da quando la spesa pubblica e i poteri normativi dei vari livelli di governo si sono tanto dilatati”.

Il che è vero, ma non più morali sono le prassi del capitalismo privato. La giustizia del mercato è un modo di dire se, per esempio, esso ricompensa l’alto management a livelli parossistici. La lotta alla corruzione e ai guadagni parossistici richiede misure da giustizia di guerra quali la decimazione, incruenta ma inflessibile, dei decisori e degli operatori che fanno affari coi governi: spogliarne di tutto uno su dieci, anche se innocente, perché gli altri nove capiscano. Si griderà all’eversione dello Stato di diritto. Vero: ma di fatto il diritto difende e ingrassa i ladri.

Gli sventramenti
Prendiamo la Francia, che ha uno Stato iperdirigista/interventista. Dovrà anch’essa abbattere la spesa, cominciando dai bilanci diplomatico-militari e da ogni altra espressione del prestigio. L’Eliseo non riuscirà mai a guadagnare i sindacati, i media, in ultima analisi la gente, alla causa delle economie se non liquiderà il nucleare strategico, le spedizioni militari nelle ex-colonie e altrove, il tentativo di difendere una centralità della Francia che non esiste più. Se non dimenticherà per sempre i fasti di Versailles. Che l’imponente palazzo Farnese a Roma sia ancora la sede dell’ambasciata francese, allorquando la diplomazia dovrà sparire del tutto all’interno dell’Unione Europea, è una sopravvivenza risibile. Come vituperevoli sono, anche in Francia, i trattamenti di molte migliaia di politici, mandarini pubblici e privati, parassiti, stilisti, cineasti, teleimbonitori, campioni sportivi, eccetera.

Anche da noi si imporranno economie gigantesche. Se tutti i bilanci, salvo quelli che aiutano direttamente i veri poveri, andranno tagliati (tagliati più di quanto si è fatto nel 2010), quelli degli Esteri, del Quirinale, della Difesa, dei Parlamenti e di ogni altra assemblea elettiva andranno ridotti a proporzioni simboliche.

La Repubblica che si vuole sorta sulla Resistenza esulle macerie della guerra è, tra i paesi arricchitisi, quello che dovrebbe capovolgere per primo le priorità della spesa. Ha i politici, i burocrati, i boiardi, i fornitori meno scrupolosi in assoluto. Il nostro congegno istituzionale è tra i peggiori del pianeta. La funzione pubblica è devastata dalle metastasi. Se in alto si è malversato e rubato su scala colossale, sono centinaia di migliaia di bassi dipendenti che frodano in piccolo, coperti dall’omertà corporativa e dai ‘diritti’.

La doverosa radiazione di furbi e farabutti sarà impossibile finché non si sospenderanno le garanzie acquisite, le prassi consolidate, le fisime costituzionali, le conquiste generate dalle lotte. Molti articoli dei codici è come se siano stati stesi dagli avvocati della malavita.

Da dove la salvezza
In conclusione. La spesa improduttiva o sbagliata andrebbe abbattuta dovunque, ma le probabilità che ciò avvenga in condizioni di normalità legale sono prossime a zero. I processi tradizionali della gestione e del consenso non promettono niente, comunque si chiami il partito al potere. Occorrerebbero circostanti eccezionali quali nessuna delle formazioni e ideologie attuali sa o vuole determinare. Essendo arte del possibile, la politica è fuori gioco: dimezzare la spesa e bonificare la palude è l’Impossibile.

Non resta che l’ipotesi, teoricamente possibile, del sorgere di un Mosé capace di deviare la storia ben al di là della politica. Di un Maometto, o Lutero, portatore di un messaggio totale, dunque metapolitico. Per definizione incarnerebbe una mutazione antropologica la quale dovrebbe investire tutti i suoi discepoli. La classe dirigente di un futuro redento non sarebbe fatta di professionisti delle assemblee e delle urne, meno che mai di intellettuali, bensì di puri di cuore, portatori di ideali.

A.M.C.