CHIUDERE E VENDERE IL QUIRINALE

Oppure affittarlo. Che i Padri della patria, il comunista Togliatti in testa, abbiano deciso 62 anni fa che la repubblica sorta -dicevano- sul sangue dei partigiani e sul sacrificio dei fuorusciti, avesse bisogno di un palazzo fastoso è paradigma della disonestà che ha trionfato. Bastava una palazzina di 50 stanze, come era a Bonn la presidenza della Bundesrepublik. Invece i virtuosi del 1948, incorruttibili solo per poco pochissimo, vollero la reggia dei papi e dei Savoia, costruita da Gregorio XIII col denaro che avrebbe dovuto soccorrere i miseri. Il sito era lo splendido giardino del cardinale Ippolito d’Este, la cui austera madre era stata Lucrezia Borgia, figlia di Alessandro VI, quest’ultimo incarnazione di virtù. Un santo.

Qualche anno fa la giovane Seconda Repubblica fece le mosse di volere riformare le sue vituperevoli istituzioni. Nessuno ci credette; ci avevano fatto più cinici i primi cinquant’anni di cleptocrazia che le dozzine di secoli. Eppure per un momento avevamo creduto di doverci disintossicare dal cinismo. Erano cinici i patrioti del Risorgimento? I volontari e i rassegnati del Carso?

Nessuno ci credeva, dicevamo. Eppure…Pensammo ci sarebbero state Bicamerali, Costituenti, Ricostituenti. Ci sarebbero stati codici, pandette e altri conati di rigenerazione istituzionale. Ci sarebbero state denunce implacabili. Sarebbe esplosa l’antipolitica. Le ruberie dei cleptocrati sarebbero state messe a nudo. Possibile che nulla sarebbe cambiato?

Possibile. Nulla è cambiato. I costi della politica erano apparsi scandalosi a tutti, persino alla gentaglia dei politici. Sono aumentati.

Allora è tempo di piantarla con la deferenza verso le istituzioni, cominciando dalla più augusta (diciamo così). La presidenza della nostra repubblica scalognata ha funzioni quasi esclusivamente cerimoniali: auguri di capodanno, salamelecchi col corpo diplomatico, esequie, ricevimenti, onorificenze, persino un sommo comando delle forze armate che prolunga il generalato supremo del fronte occidentale esercitato nel 1940 da Sua Altezza Reale Umberto, molto rimpianto dalle novantenni aristocratiche. Persino la prerogativa di sciogliere le Camere è discussa. A Londra, madre o nonna del parlamentarismo, indire nuove elezioni spetta al capo del governo quando vuole, non alla regina collega del nostro sommo sacerdote. Dunque il maremoto delle riforme che ci sono state promesse -perciò certamente verranno, che diamine!- dovrebbe cominciare dalla sommità fisica del sistema politico meno onorevole del mondo occidentale.

Dal Colle presidenziale -un tempo più prosaicamente conosciuto come Monte Cavallo- gli uffici del Primo Cittadino dovrebbero traslocare verso la summenzionata palazzina di 50 stanze, e non più. Il primo ministro Cameron, che ha portato alla vittoria il partito della conservazione, ha avuto il coraggio di tagliare di un quarto uno dei bilanci più tradizionali dello Stato britannico, quello del Foreign Office. Sacrifici più modesti a carico della superba Navy, della gloriosa RAF, del semi- invincibile Army. Ce lo imprestassero per un po’, a sostituire un Berlusconi o altri pari a lui, Cameron taglierebbe di otto decimi la spesa meno essenziale di tutte, quella dell’arcipalazzo pontificio/sabaudo. Ottima cosa sarebbe che abolisse i ricevimenti ai diplomatici, dignitari e loro signore.

Cameron licenzierebbe, oppure manderebbe a regolare il traffico all’Eur, i quasi 300 corazzieri che torreggiano coi loro inutili due metri nelle quotidiane teleriprese della Corte sorta dalla Resistenza. Se ci pensate, ad ogni giuramento di sottosegretario o di soprannumerario ministro assiste solenne, tra altri ciambellani, un generale a molte stelle, o forse ammiraglio, con uniforme assai elegante. Che ruolo ha in quel momento? Ha strategie di guerra da consigliare allorché il comandante supremo delle FF.AA prende il ‘giuramento’ di un politico dall’onore inattendibile?

Il feldmaresciallo di cui parliamo è uno dei quasi duemila cortigiani, corazzieri, lacchè o burocrati grandi e minimi che Cameron metterebbe in pensione a un quarto del vitalizio (ma su molti si potrebbe risparmiare in tutto la pensione, visto quanto superbamente sono stati pagati e alloggiati). Quanto alla squadretta di giuristi che preparano la firma di leggi e decreti, essi non hanno bisogno dei saloni di Sua Santità, dei cavalli e delle corazze delle Guardie del Presidente (ma per proteggere quest’ultimo si impiegano alcune centinaia di militari e poliziotti veri, i cui costi non figurano nei bilanci del Quirinale). Le università, i ministeri, le cassazioni, gli studi legali della capitale pullulano di giuristi, cui la telematica permetterebbe di lavorare dai loro domicili.

Dicono che il Quirinale conti 1200 stanze e in più gallerie, scuderie, portinerie. Una volta svuotate -coi metodi anglosassoni basterebbero due settimane- si può immaginare quanto si ricaverebbe a venderlo o ad affittarlo, completo di arazzi, tappeti e candelabri. I miliardari di Shanghai non baderebbero a spese. A ripensarci, potremmo cedere loro anche i corazzieri, palafrenieri e lacchè. I ciambellani, non è chiaro che se ne farebbero. Però se adibissero la reggia a grand hotel low cost, a sfilate di moda e a conventions di concessionari d’auto, qualche ruolo lo troverebbero anche per i ciambellani.

Ci divertiamo a fantasticare, ma la questione è veramente dolorosa. Si tolgono gli insegnanti di sostegno agli sventurati e agli storpi; si nega il pasto agli scolari morosi; si lasciano dormire in istrada, a volte morire d’inverno, i barboni delle metropoli; si abbandonano alle mense dei miseri i senza lavoro non organizzati né protetti. Invece si destinano. 220 e più miliardi all’anno a mantenere una reggia sfrontata e senza onore, la quale costa il quadruplo della monarchia britannica e l’ottuplo della presidenza federale, a Berlino, della nazione più stimata al mondo. Il Colle costa quanto quarantamila precari. Se il nostro non fosse uno paese-canaglia, gestito dai peggiori tra noi, il Quirinale non sarebbe stato mai aperto. Arrivasse un giorno il Giustiziere, cancellerebbe subito la più vistosa e immorale delle nostre infamie.

Abbiamo di peggio, peraltro. Che sono morti a fare, quei fucilati della Resistenza che avevano sperato in un paese migliore?

Antonio Massimo Calderazzi