SINDACATI NEMICI DEL POPOLO

Il capitalismo ha vinto troppo, per l’insipienza o la follia delle varie sinistre. Sarebbe giusto che appena possibile gli alti redditi fossero semiconfiscati con le patrimoniali, coll’umiliazione dell’alto management, con la persecuzione degli yacht e delle banche offshore, con il licenziamento a titolo d’esempio di un burocrate e di un boiardo su dieci.

Al tempo stesso occorrerebbe che il diritto del lavoro alla italiana/francese venisse riformato, che i fossero depenalizzati e il diritto di licenziare allargato; che trionfasse la cogestione, implicante la partecipazione dei lavoratori alla gestione -profitti e perdite- delle imprese. Dimostra una volta di più quest’ultimo aspetto l’economia tedesca: con la Mitbestimmung, cioè con la sterilizzazione dei contenziosi industriali, essa avanza impetuosa anche nel 2010, laddove i concorrenti stranieri si indeboliscono.

Oggi che la globalizzazione fa chiudere le imprese incapaci di abbassare i costi, risulta ancora più dimostrato che le conquiste sindacali rafforzano il capitalismo e impoveriscono i poveri. Charles de Gaulle cadde anche perché i francesi nelle loro fissazioni e abitudini non capirono la sua Troisième Voie tra capitalismo e comunismo. Ma aveva ragione lui. Più ancora: aveva avuto ragione Miguel Primo de Rivera, benevolo dittatore della Spagna tra il 1923 e il ’30. Imponendo l’arbitrato obbligatorio attraverso organismi paritari imprenditori/lavoratori, azzerò una conflittualità esasperata che aveva fatto scorrere non poco sangue e reso necessario il governo militare. Tutti indistintamente gli storici ammettono che sotto Primo de Rivera la condizione dei lavoratori migliorò, anche perché nacque il primo Welfare State della storia nazionale. Con Primo (che i suoi pari Grandi di Spagna combatterono) collaborò apertamente il socialista di sinistra Francisco Largo Caballero, futuro primo ministro della Repubblica in guerra contro Franco.

Oggi c’è l’attacco sinistrista alla Fiat, nel nome dei diritti. Ma è lampante che le nostre leggi sul lavoro, deformate negli anni Settanta, vanno riscritte: sono squilibrate, privilegiano i pochi ai danni dei molti, fanno espatriare le industrie. Se a Melfi e a Pomigliano vincesse la Fiom con l’ufficiale giudiziario e l’appoggio degli intellettuali con ombrellone a Capalbio, il logico risultato sarebbe, prima del previsto, il trasloco delle linee in Serbia, nel Michigan, persino nel Baden-Wuerttemberg dove impera la cogestione. Se altre toghe sentenzieranno ai sensi degli anni Settanta, Marchionne esulterà. Riuscirà a restare grande produttore fabbricando nel mondo, non dove esige la carta da bollo.

Peraltro è vero: più Capalbio gargarizzerà dalla parte delle maestranze con tessera sindacale, cioè contro i precari e i senza lavoro, meglio andrà a Berlusconi, a chi farà le sue veci, alla dittatura dei capitali. Se dovrà esserci una rimonta della socialità contro la ricchezza, occorrerà che il sindacato e il gauchisme vengano messi fuori gioco.

Jone