RODOLFO MONDOLFO, NOSTRO RIFERIMENTO

Tra le malattie che hanno ucciso l’idea socialista e quella comunista primeggiano la voracità ladra degli appaltatori della prima, la ferocia dei gestori della seconda. Sapere questo non spegne il rimpianto di quando esistevano alternative all’ipercapitalismo, oggi esso stesso in cattiva salute.

Come ci disgustano, da una parte, la disonestà e disinvoltura del craxismo, del felipismo spagnolo, del blairismo, e dall’altra l’arroganza, il settarismo, l’inumanità, l’autolesionismo praticati da Lenin a Togliatti, da Thorez e dalla Ibarruri a moltitudini di intellettuali opportunisti, così ci cresce dentro l’ammirazione per le grandi figure del socialismo umanitario. Primo, Rodolfo Mondolfo il cui magistero abbiamo evocato nelle poche righe di presentazione di “Internauta”, un mese fa.

Col fratello Ugo Guido, anch’egli lavoratore nella vigna di Critica Sociale, Rodolfo ebbe la grandezza di contrapporsi immediatamente ai campioni del marxismo autodistruttivo: non solo Lenin e Stalin, anche il falso profeta Gramsci e il serpino Togliatti, poi i centomila sicofanti che schernivano il socialismo etico dai caffè di St.Germain, dalle terrazze romane, dalle tavole rotonde e dai teleschermi del sinistrismo insincero. Nel 1920 Gramsci rimproverava a Mondolfo che il suo amore per la rivoluzione fosse ‘grammaticale’ e irrideva alla ‘pedanteria professorale e pantofolaia che pretendeva di fissare limiti alle rivoluzioni’. Non avrebbe scritto, il fondatore de “L’Unità”, che il partito comunista doveva “prendere il posto, nelle coscienze, della divinità o dell’imperativo categorico”; così allineandosi a Stalin e a Zdanov?

Decenni dopo il tardobolscevico di rito milanese Lelio Basso sosteneva ancora che la causa primordiale della dittatura leninista-stalinista era stata ‘la minaccia di schiacciamento’ da parte delle potenze capitaliste, non il feroce imbarbarimento del Partito e la sua ‘funzione dominatrice’ sulle masse. Per quasi un secolo gli intellettuali ‘di tendenza’ (compresi i tanti che si erano adattati assai bene al fascismo) avevano insultato gli assertori alla Mondolfo di un socialismo per l’uomo, non per il Partito. E insultarono ancora quando, morto Stalin, il sistema moscovita continuò a stroncare con le armi a Poznan a Berlino a Praga a Budapest la velleità delle masse di rivendicare le loro esigenze reali.

L’uomo-Comintern Palmiro Togliatti pontificò che nel campo sovietico esistevano . Legioni di scrittori pittori registi di casa nostra inneggiarono a tali ridicole fandonie e vituperarono le invocazioni umanistiche di ogni possibile Mondolfo.

Conosciamo la fine ignobile/grottesca del comunismo. Peraltro ai combattenti dell’ideale si può addebitare di non aver capito fino a che punto il trionfo del capitalismo avrebbe fatto turpe l’anima ai socialisti. Non era mai accaduto che i portatori di una grande causa si trasformassero così fulmineamente in corruttori e in ladri. Forse i boys di Craxi e di Felipe Gonzales non furono più ladri di tanti luogotenenti di Aznar e Berlusconi; ma almeno questi due ultimi condottieri dell’ipercapitalismo non avevano e non hanno alcun obbligo di moralità. E nemmeno ne ha Tony Blair con la sua ricchezza spudorata e la sua livrea di casa Bush-Cheney. I Mondolfo, i Kautsky, gli Otto Bauer non seppero misurare né la forza corruttrice del benessere consumistico, né la tenuità etica di molti che si dicevano socialisti. Ed ecco Fernando Savater, brillante intellettuale spagnolo, rivendicare oggi (come il Niccolò Machiavelli ammiratore di Cesare Borgia): “I politici non hanno bisogno della morale”.

Oggi ‘socialista’ è una parola da non pronunciare a tavola. Semmai si potrà parlare di ‘semisocialism’ o ‘halbsozialismus’, evitando la lingua italiana e quella spagnola. Resta, anzi grandeggia, la dignità del comunismo umanistico additato dal visionario-realista Rodolfo Mondolfo. Per questo andremo ripubblicando qualche scritto antico di quest’ultimo. La nostra sodale Laura Lovisetti Fuà, nipote dei fratelli Mondolfo, ci ha passato alcune loro vecchie carte.

Nato a Senigallia nel 1877, il ventiquattrenne Rodolfo Mondolfo insegnava la storia della filosofia all’università di Torino, dove restò quattordici anni. Fu poi professore a Bologna 24 anni, in Argentina 12. Morì lì nel 1976. Negò l’imperante interpretazione materialistica del marxismo, che egli invece caratterizzò come filosofia attivistica e umanistica. Questa concezione liberale mise al centro di opere quali Il materialismo storico in F. Engels, di un secolo fa, e Sulle orme di Marx, del 1919. Nella filosofia antica rilevò, al di là degli schemi tradizionali, problemi e intuizioni del mondo contemporaneo.

Già nel 1919, poco più di dodici mesi dall’Ottobre rosso, Mondolfo vide con chiarezza inesorabile che il comunismo non poteva che essere dittatura, della classe dominante non del proletariato; e che sarebbe stato odiato e abbattuto dal popolo, anzi dai popoli. Si pensi a quella forma esasperata che fu il maoismo della Rivoluzione culturale. In Cina ha avuto luogo, per reazione, la più gigantesca palingenesi della storia: dalla persecuzione di chi, contadino possessore di un bue o professore di politecnico, era un ‘capitalista da schiacciare’, all’apoteosi finanziaria di oggi, che la Cina è arbitra della solvibilità dell’America sua debitrice. Anche questo era nell’analisi-profezia di Rodolfo Mondolfo.

Vivesse oggi, il loico veggente di Senigallia, forse saprebbe dirci se moriremo di ipercapitalismo. Forse ci insegnerebbe come riproporre una prospettiva di disincantata socialità, dopo 170 anni di errori e di tradimenti che hanno stracciato il concetto stesso di sinistra. Nei suoi limiti, la dottrina sociale di Leone XIII è sopravvissuta ben meglio del marxismo-leninismo trionfatore a chiacchiere, anzi a menzogne.

A.M.C.