EVOLUZIONE, NON RIVOLUZIONE, PER UN SISTEMA NEO-ATENIESE

Leggendo il documento “Il Pericle elettronico” [dossier sulla tecnodemocrazia selettiva, materiali anglo-americani sulla superfluità delle elezioni e dei politici. La soluzione randomcratica: una nuova polis sovrana di super-cittadini scelti dal sorteggio] appare condivisibile il concetto di ritorno ad una democrazia in un certo senso “diretta”, l’utilizzo della tecnologia per consentire tale ritorno, l’impiego del metodo dell’estrazione e, soprattutto, l’idea di selezionare i più competenti e degni per ricoprire gli incarichi, attraverso una scrematura via via più ardua.

Sorgono tuttavia delle domande in ordine a certi aspetti problematici delle idee proposte.

Come evitare, in primo luogo, derive populiste, estremismi, degenerazioni dittatoriali, come garantire la salvaguardia di taluni principi liberali storicamente invisi al popolo (il divieto della pena di morte, di pene esemplari o umilianti, o il concetto di pena rieducativa e non punitiva etc), come tutelare le minoranze, come evitare, in materie quali la politica economica o la politica estera, decisioni prese con la “pancia” dalla gente, e non con la “testa”?

Pare subito una buona risposta la suddetta selezione delle persone che andrebbero a ricoprire gli incarichi. Se chiunque può, in teoria, accedere a qualsiasi funzione di governo grazie all’estrazione, in pratica va garantito che vi acceda solo chi ha competenze e conoscenza sufficienti, indipendentemente poi dalle opinioni personali, per poter decidere con cognizione di causa. L’idea di “macrogiurie”, avanzata ne “Il Pericle elettronico”, pare estremamente interessante da questo punto di vista. Evitare poi che le decisioni vengano prese in modo immediato, ma che, anzi, sia garantita una ampia discussione preliminare, è un altrettanto valido deterrente contro scelte emotive e non razionali.

In secondo luogo, è problematica la gestione dell’informazione in un sistema di democrazia elettronica diretta. Come evitare che chi gestisce il quarto e il quinto potere possa godere di un’influenza determinante sulle decisioni prese dal popolo?

La pluralità dei mezzi di informazione è, in fondo, solo un’opportunità, non una garanzia di risultato. Se il 90% della popolazione si forma un’opinione basandosi su 3 telegiornali di proprietà della stessa persona (ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente voluto), la presenza di altre centinaia di media è pressoché irrilevante.

Una buona soluzione potrebbe essere richiedere, a coloro che vengono estratti per esercitare funzioni di governo, di dimostrare di essere a conoscenza della realtà dei fatti, dei dati oggettivi coinvolti nell’argomento, e non solo delle opinioni trasmesse da alcuni media. Se la pluralità dei mezzi di informazione, come detto, è un’opportunità, deve poter governare solo chi la coglie.

Da queste prime due grandi aree problematiche, ne discende quasi automaticamente una terza: come predisporre la selezione dei governanti?
Le recenti innovazioni tecnologiche aprono le prospettive più interessanti. Internet permette una diffusione gratuita, ampia ed immediata della conoscenza, e quindi non c’è più motivo per ritenere che al povero sia concesso un accesso all’informazione inferiore al ricco. I computer, poi, permettono la predisposizione di test, il più possibile oggettivi, che saggino le conoscenze dell’esaminato. Non è poi così futuribile, dunque, pensare di sottoporre gli estratti a sorte ad una selezione via computer, per poterne valutare le competenze (oltre ad un’analisi tramite dati e titoli, circa esperienze ed assenza di precedenti) su temi specifici o generali, a seconda dei casi.

L’obiettivo di questa nuova forma di democrazia dovrebbe essere salvaguardare, ed anzi implementare, la competenza dei governanti, recuperare la partecipazione alla gestione dello Stato, e, soprattutto, innovare il metodo di governo portando il disinteresse personale, garantito dalla mancanza di elezioni e dall’estrazione a sorte, al centro del sistema.

Sarebbe poi, a tal proposito, utile ragionare in termini di “evoluzione” e non di “rivoluzione”. Il sistema della “democrazia neo-ateniese”, se la vogliamo chiamare così, può infiltrarsi in modo progressivo nel corpo malato della democrazia rappresentativa, semplicemente grazie alla spinta di un’opinione pubblica che ama essere coinvolta, ma detesta doversi impegnare a fondo nel coinvolgimento. In un sistema rapido, gratuito e semplice, come quello possibile grazie alla tecnologia di Internet, il desiderio di partecipazione sarebbe facilmente canalizzabile. La creazione di proposte semplici e fattibili, su cui convogliare il consenso popolare, per poi imporle ai soggetti istituzionali dell’attuale sistema potrebbe essere un primo passo. La sperimentazione del sistema neo-ateniese dovrebbe cominciare in ambiti ristretti, per poi allargarsi sfruttando l’eco mediatica di simili tentativi. Gli stessi partiti potrebbero essere interlocutori, in quanto contenitori di persone potenzialmente interessate, nella fase iniziale.

Il dibattito può essere utilmente portato anche a livello di Unione Europea che, per la sua attuale struttura ancora ibrida ed indefinita, e per la sua prospettiva di diventare il futuro governo dei cittadini europei, appare l’ambito ideale per tale riflessione.

Quale democrazia manca all’Unione europea?

A seguito della crisi greca si sono levate molte voci che indicavano come la migliore delle soluzioni possibili una più profonda integrazione nell’ambito dell’Unione europea.

Tuttavia, non appena viene proposto il rafforzamento del metodo comunitario, subito si leva un coro di voci contrarie. I vari governi nazionali, da ultimo quello di Angela Merkel, si affrettano a dichiarare che le prerogative dei parlamenti nazionali non possono essere compromesse. L’argomento principe per contrastare il trasferimento di poteri a Bruxelles è il cosiddetto “deficit democratico dell’Ue”.

Si può notare come tale argomento non venga quasi mai usato per lamentare gli abusi di un potere centrale fautore di interessi propri a discapito di quelli dei cittadini, o gli sprechi dissennati che, grazie a un più diretto controllo dei governati sui governanti, sarebbero evitabili. Al contrario, la mancanza di democraticità dell’Unione è fatta oggetto di attenzione quando vengono prese decisioni impopolari ma fondamentalmente giuste, e quello che sembra più spaventare nel procedimento decisionale europeo, è la minore possibilità di ricattare il legislatore da parte di minoranze consistenti e portatrici di forti interessi.

Nelle democrazie rappresentative occidentali è difficile per i governi prendere decisioni se ledono interessi particolari sufficientemente diffusi o tutelati. E’ parimenti difficile ignorare certi moti di opinione pubblica, spesso figli di episodi di cronaca o comunque dell’emozione del momento.

Ma è di questa democrazia che l’Unione europea ha bisogno?

Sembra doversi constatare che il concetto di democrazia di cui l’Unione europea sarebbe carente, è il sunto degli aspetti peggiori della democrazia stessa: incapacità di superamento degli interessi particolari, ricattabilità del legislatore ad opera di gruppi di interessi, adeguamento acritico alle pulsioni dell’opinione pubblica, frustrazione del bene comune.

Un aumento dei poteri dell’Unione europea è inevitabile, e quindi un problema di controllo su chi esercita tali poteri esiste sicuramente. Invece di trasferire a Bruxelles i peggiori frutti del nostro sistema democratico-rappresentativo, perché non pensare a strade alternative?

Se le persone che hanno le competenze e le capacità per far parte, ad esempio, di un’autorità di controllo sulla gestione dell’economia europea non sono più che poche decine per Stato, invece di prevedere che esse vengano elette, o nominate da eletti, perché non azzardare che siano sorteggiate? Una volta selezionati i cento migliori esperti europei, estraendone a sorte dieci nominativi, si avrebbe al contempo la garanzia della competenza, e l’assenza della ricattabilità, dei favori e dei favoritismi.

Nessuno nega che un tale sistema di “random-crazia” porrebbe dei problemi, ma è altrettanto innegabile che molti dei problemi attuali sarebbero risolti, e il costante deterioramento dei regimi democratico-rappresentativi impone una riflessione sistematica.

Iniziativa legislativa popolare: il nuovo ruolo della telematica

A seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) è stato introdotto nell’ordinamento dell’Unione europea l’istituto dell’iniziativa legislativa popolare. E’ ora possibile per un milione di cittadini europei, appartenenti ad un significativo numero di Stati membri, invitare la Commissione a presentare una proposta legislativa.

Perché i cittadini europei possano esercitare concretamente questo diritto, tuttavia, è necessario che Parlamento europeo e Consiglio adottino un regolamento. Una prima proposta in proposito è stata presentata dalla Commissione il 31 marzo. Si prevede che il milione di cittadini necessari debba provenire da almeno un terzo degli Stati membri (attualmente quindi nove), e che sia necessario un numero di firme minimo per ogni Stato. La parte più interessante della proposta di regolamento riguarda le procedure per la raccolta delle firme (o “dichiarazioni di sostegno”), in cui si prevede che queste possano essere raccolte su carta o per via elettronica.

Vale la pena sottolineare l’importanza sostanziale del nuovo metodo di raccolta on-line delle adesioni. In una società in cui ampie fasce della popolazione (i giovani, specialmente) trovano più semplice, e più normale, sottoscrivere una petizione on-line, o partecipare ad una catena di mail, o iscriversi ad un gruppo su facebook, che non firmare per un referendum, legare un diritto di pre-iniziativa legislativa ad uno strumento come internet può essere utile ed innovativo. Se l’esperimento dovesse avere successo, si potrebbero ipotizzare infinite applicazioni del medesimo metodo, non solo in sede europea, ma anche nazionale e locale.

Altrettanto incoraggiante è poi la posizione della Commissione, ad ora non intenzionata a cedere alle perplessità degli Stati membri sulla raccolta firme on-line. Se ai dubbi ed ai problemi, legittimamente sollevati dagli Stati, si sarà in grado di dare risposte efficaci da un punto di vista tecnico e operativo, non si consentirà alle inconfessabili perplessità di alcuni Stati membri, riguardo qualsiasi innovazione nel senso di una “democrazia elettronica”, di nascondersi dietro a critiche di buonsenso o a spauracchi da complotto-hacker. Come già spesso in passato, così anche oggi l’Unione europea potrebbe trovarsi a svolgere un ruolo di avanguardia rispetto ai suoi Stati membri.

Tommaso Canetta

2 commenti

  1. Ho problemi su entrambi i punti forti della proposta.

    Scegliere gli esperti. Innanzi tutto si puo sapere tutto e non capire un cazzo. E poi “conoscere il problema” non e’ un criterio oggettivo, molto spesso la questione e’ come interpretare i dati in nostro possesso non averne il piu possibile. Non c’e una scelta positiva e una negativa, ci sono due scelte il cui valore dipende dalle nostre posizioni ideali (per buttarla in vacca, meglio la liberta o l’uguaglianza?). Non c’e nulla di oggettivo in tutto questo.
    Per fare un esempio concreto, partendo dal tuo “scegliamo i cento che conoscono meglio l’economia e affidiamogli la baracca”, e’ sostanzialmetne quello che hanno fatto tanti stati quando si sono messi in mano ai piani di aggiustamento strutturale del wto (elaborati dalle migliori menti dell’economia mondiale). Non un successo clamoroso mi pare.

    Quanto alla democrazia elettronica il fatto che “ampie fasce della popolazione trovino piu semplice firmare una petizione su facebook” non mi sembra un gran vantaggio. Specialmente nella vostra ottica elitista -parzialmente comprensibile- verrebbe da dire che quelle stesse fasce della popolazione andrebbero private del diritto di firmare petizioni (tanto comunque invece di firmare metterebbero il tasto I like).

    Tuo, euroburocrate

    1. Sono commosso dal fatto che hai commentato – continua così!

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